“La fine degli anni Sessanta era un periodo straordinario, carico di tensione, di voglia, al di là degli avvenimenti politici e non, che conosciamo, e fare televisione era diventato dequalificante. Mi nauseava un po' una certa formula, mi stavano strette le sue limitazioni di censura, di linguaggio, di espressività, e allora mi dissi: "D'accordo, ho fatto questo lavoro e ho avuto successo, ma ora a questo successo vorrei porre delle condizioni." Mi sembrò che l'attività teatrale riacquistasse un senso alla luce del mio rifiuto di un certo narcisismo.
”Giorgio Gaber