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Da giovane, mi irritavano i libri che liquidavano la nozione dell'eccezionalismo americano; intrattenevo lunghe ed estenuanti discussioni con amici che insistevano nel sostenere che l'egemonia americana fosse causa di oppressione in tutto il mondo. Avevo vissuto all'estero: lo sapevo fin troppo bene. Ero pronto a concedere che l'America non si dimostrava all'altezza dei suoi ideali. Non potevo certo difendere la versione della storia americana insegnata nelle scuole, quella in cui si sorvolava sulla schiavitù e il massacro dei nativi era quasi del tutto taciuto. L'esercizio azzardato della forza militare, l'avidita delle multinazionali: sì, certo, erano tutte cose che avevo ben presenti.
Ma l'idea di America, la promessa insita nell'America: a queste ero aggrappato con una caparbietà che sorprendeva persino me. «Noi riteniamo che sono per sé stesse evidente queste verità: che tutti gli uomini sono creati uguali»: questa era la mia America. L'America descritta da Tocqueville, il Paese di Whitman e Thoreau, dove nessuno stava su un gradino più basso o più alto di me; l'America dei pionieri che si erano spinti verso ovest con la speranza di una vita migliore o degli immigrati sbarcati a Ellis Island inseguendo un desiderio di libertà.
Era l'America di Thomas Edison e dei fratelli Wright, capaci di dare ali ai loro sogni, e delle imprese di Jackie Robinson sul campo da baseball. Era Chuck Berry e Bob Dylan, Billie Holiday al Village Vanguard e Johnny Cash al carcere di Folsom: tutti quei disadattati che avevano preso gli avanzi ignoranti o scartati dagli altri e ne avevano tratto una bellezza mai vista prima.
Era l'America di Lincoln a Gettysburg, di Jane Addams che sgobbava in una casa di assistenza a Chicago, dei soldati esausti in Normandia e di Martin Luther King che al National Mall invocava il coraggio per sé e per gli altri.
Era la Costituzione e il Bill of Rights, predisposti da pensatori imperfetti, magari, ma brillanti, capaci di elaborare un sistema solido e insieme in grado di cambiare.
Un'America che potesse dar conto di uno come me.


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