“La scuola fa male alla cultura perché non comunica. Perché il ceto del sottoproletariato intellettuale l'ha conquistata come proprio terreno di sicurezza economica sbattendosene della funzione. Lo schema che si ripete è quasi sempre lo stesso: studenti di fronte ad "educatori" spenti, preoccupati di finire un programma ministeriale, di riempire un registro, corollari fastidiosi alla vera occupazione della stesura dell'itinerario-vacanze. Non è neppure sfiorato uno dei principi della pedagogia classica: la trasmissione della passione per la lettura e la trasfusione della curiosità culturale. Si leggono i classici come se fossero la bolletta del telefono o le ricette del medico. Le parole lette, anche quelle dei grandi autori, restano solo parole, svuotate di tutta la loro forza, perché ridotte al rango di esercizio. La cultura non arriva al cervello perché è stata ridotta a compito da svolgere per il giorno dopo, a pedaggio da pagare per ottenere un voto, che poi darà diritto ad un diploma, e quindi, eventualmente e fortunosamente, ad un impiego, in attesa della pensione.
”Mina