“Mi conoscete? Be', mi presento. Sono il vicino di casa dell'autrice de 'La scuola raccontata al mio cane.' Veramente, a dirla tutta, il cane a cui è stata raccontata la scuola sarebbe il mio, anzi era mio. È andata così: un giorno squilla il telefono: è una supplenza di sedici giorni, per meno non ti chiamano, in un paese a un centinaio di chilometri. Ci sono stato, anni fa. Accetto? È un po' che non lavoro: con le assenze fino a due settimane "coperte" da colleghi di ruolo, le supplenze si sono assai ridotte. Accetto. Ma poi, abbassata la cornetta, il rimorso: e il cane? Già il cane. Gli voglio bene, ma non posso portarlo con me: alloggerò da un'affittacamere: niente cani. A chi lasciarlo? Suono il campanello della mia gentilissima vicina: è una professoressa, mi capirà. Ricordo ancora lo sguardo interrogativo del cane catapultato all'improvviso in una casa tra odori sconosciuti e tappeti sui pavimenti (io non ho tappeti, sicché quei prati multicolori dovevano fargli effetto). Vecchio mio, ricordo che gli dissi, chi ha la sventura di essere un congiunto di precario, deve accettare di essere un po' precario anche lui. Questa è la prima legge del precariato: madri, mogli, mariti, figli (e cani) sono precari anche loro, per quanto affettivamente ed economicamente condividono le sorti del precario.
”Da: Le remore e il Titanic: vite precarie a scuola - GaffiLuca Antoccia