“L'impressione che ci causano una persona, un'opera (o un'interpretazione) fortemente caratterizzate, è assai particolare. Noi ci portiamo dentro le idee di «bellezza», «ampiezza di stile», «pathos», che a rigore potremmo aver l'illusione di riconoscere nella banalità d'un talento, d'un viso regolare, ma il nostro spirito attento ha dinanzi a sé l'insistenza d'una forma di cui non possiede un equivalente intellettuale, da cui gli è necessario far liberare l'ignoto. Sente un suono acuto, un'intonazione bizzarramente interrogativa. Si domanda: «È bello? Ciò che provo, è ammirazione? È questa la ricchezza di colore, la nobiltà, la potenza?». E a rispondere è di nuovo una voce acuta, un tono curiosamente interrogativo, è l'impressione dispotica causata da un essere sconosciuto, tutta materiale, e nella quale non uno spazio vuoto è lasciato alla «larghezza dell'interpretazione». E proprio per questo sono le opere veramente belle, se ascoltate sinceramente, quelle che più ci deluderanno, perché, nella collezione delle nostre idee, non ce n'è una che corrisponda a un'impressione individuale.
”Marcel Proust