“Noi da un punto di vista antropologico siamo certamente disabili a vivere nel mondo e nella società in cui viviamo perché - lo confermano medici e psicologi - il nostro corpo, la nostra psiche si sono plasmati in un ambiente che è radicalmente diverso da quello in cui noi viviamo e l’evoluzione della società ha proceduto molto più rapidamente dell’evoluzione della specie. Perciò noi, ad esempio, soffriamo di moltissimi disturbi di carattere fisico perché il nostro corpo non è adeguatamente attrezzato a vivere con i ritmi, l’alimentazione, le occupazioni che ci impone la vita di oggi. Questo è assodato dalla medicina. Hanno constatato che l’alimentazione o i ritmi di sonno e veglia o la tensione, la vigilanza si sono formati da ambienti che sono agli antipodi rispetto a quelli di oggi e quindi noi di fatto siamo fisiologicamente, psicologicamente disabili ad affrontare in modo adeguato, costante e continuo la società in cui viviamo. Ma poi tutti soffriamo di avere limiti emotivi, psicologici, culturali, professionali. I giovani soffrono di non essere adeguati rispetto a modelli che una società propone sia sul piano della bellezza fisica sia sul piano della prestazione atletica o professionale.
Quindi la persona, andando avanti con gli anni, si imbatte inevitabilmente in handicap o limitazioni fisiche che lo riguardano direttamente oppure che riguardano i suoi familiari. La disabilità tecnica, funzionale e anche soprattutto la disabilità emotiva, mentale noi la avvertiamo continuamente. L’occhio che la cultura dovrebbe modificare nei confronti del disabile dovrebbe indurci a considerare il disabile non con commiserazione o come un diverso ma con solidarietà, come un compagno di viaggio, certamente sfortunato in certe forme di handicap, ma non estraneo alla nostra esperienza.
”Da: Intervista a 'La libreria di Dora'Giuseppe Pontiggia