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Frasi sul vivere [44/74]
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Un uccello chiuso in gabbia in primavera sa perfettamente che c'è qualcosa per cui egli è adatto, sa benissimo che c'è qualcosa da fare, ma che non può fare; che cosa è? non se lo ricorda bene, ha delle idee vaghe e dice a se stesso: «Gli altri fanno il nido e i loro piccoli e allevano la covata», e batte la testa contro le sbarre della gabbia. E la gabbia rimane chiusa, e lui è pazzo di dolore. «Ecco un e fannullone» dice altro uccello che passa di là, « quello é come uno che vive di rendita.» Intanto il prigioniero continua a un vivere e non muore, nulla traspare di quello che prova, sta bene e il raggio di sole riesce a rallegrarlo. Ma arriva il tempo della migrazione. Accessi di malinconia- ma i ragazzi che lo curano nella sua gabbia si dicono che ha tutto ciò che può desiderare- però lui sta a guardare fuori il cielo turgido, carico di tempesta, e sente in sé la rivolta contro la propria fatalità. «lo sono in gabbia, sono in prigione, e non mi manca dunque niente, imbecilli? Ho tutto ciò che mi serve! Ah, di grazia, la libertà, essere un uccello come tutti gli altri!»
Quel tipo di fannullone è come quell'uccello fannullone.
E gli uomini si trovano spesso nell'impossibilità di fare qualcosa, prigionieri di non so quale gabbia orribile, orribile, spaventosamente orribile.
Lo so che c'è anche la liberazione, la liberazione tardiva. Una reputazione rovinata a torto o a ragione, la timidezza, la fatalità delle circostanze, la disgrazia, ecco tutto quello che rende gli uomini dei prigionieri.


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Cari ragazzi, niente di nuovo sotto il sole, mi verrebbe da dire, eppure la scuola chiusa mi impone di parlare. Quello che voglio però dirvi è di mantenere il sangue freddo, di non lasciarvi trascinare dal delirio collettivo, di continuare – con le dovute precauzioni – a fare una vita normale. Approfittate di queste giornate per fare delle passeggiate, per leggere un buon libro, non c’è alcun motivo – se state bene – di restare chiusi in casa. Non c’è alcun motivo per prendere d’assalto i supermercati e le farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato, servono solo a loro. La velocità con cui una malattia può spostarsi da un capo all’altro del mondo è figlia del nostro tempo, non esistono muri che le possano fermare, secoli fa si spostavano ugualmente, solo un po’ più lentamente. Uno dei rischi più grandi in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia, come ad un potenziale aggressore. Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco credetemi, i suoi progressi, le sue certezze, usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero. Vi aspetto presto a scuola.
Da: Lettera agli studenti del liceo Volta (27/02/2020)

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